Le Corti dei Conti di varie città italiane come: Brescia, Bolzano, Trieste, Venezia, nei mesi scorsi hanno rigettato, con motivazioni certamente molto discutibili, di ricorsi proposti da centinaia di pensionati contro i tagli alla rivalutazione delle pensioni.
Rivalutazioni fatte con le leggi finanziarie degli ultimi anni, 2024 incluso.
Motivazioni discutibili, abbiamo scritto, perché tutte basate su un falso assioma: ”si tratta di pensionati ricchi, poco toccati dall’inflazione. Lo Stato ha bisogno di denaro, data la precarietà dei bilanci e la necessità di tutelare le fasce deboli della popolazione”
Purtroppo sappiamo molto bene che è questa la filosofia governativa degli ultimi 20 anni almeno ed è questo il pensiero di coloro che ci governano e che ci hanno governato: “Si possono certamente taglieggiare i titolari di pensione che hanno pagato per 40 anni ed oltre in maniera corretta i contributi pensionistici; e tutto quello che non diamo a loro li regaliamo a chi non ha lavorato per lo stesso numero di anni o peggio ancora ha evaso”.
È la solita Italia, di qualunque governo si tratti. Non si rispettano i patti, non si premia il merito, si bastonano i soliti noti; dipendenti pubblici e privati che non possono e soprattutto non vogliono evadere il fisco.
Ma come diceva un vecchio detto” MAI ABBANDONARE LE SPERANZE!” ed ecco finalmente che il 9 settembre arriva la notizia ANSA che la Corte dei Conti della Toscana il giorno 06 di settembre del 2424, con ordinanza numero 33-63059 ha rinviato alla Corte Costituzionale il ricorso di un Preside toscano, ritenendo che il blocco della rivalutazione delle pensioni sia palesemente incostituzionale.
L’ordinanza non è stata ancora pubblicata sui consueti canali giuridici e sarebbe anche molto lunga da pubblicare qui, circa 50 facciate che chiaramente solo gli addetti ai lavori avranno la costanza di leggere; e comunque la Corte dei Conti della Toscana afferma, testualmente, che la “..legge di previsione dello Stato per l’anno 2023 e il bilancio pluriennale 2023-2024-2025 violerebbero gli articoli 3, 23, 36, e 38 della Costituzione e che il danno non sarebbe limitato al solo 2023 ma vi sarebbe una irragionevole e definitiva penalizzazione anche per l’effetto cumulato delle analoghe disposizioni precedenti..”
Come sempre, l’avvocatura dell’INPS si era opposta al ricorso ma la Corte dei Conti della Toscana ha ribadito che “.. la penalizzazione dei titolari dei trattamenti pensionistici più elevati lede non solo l’aspettative economica ma anche la dignità stessa del lavoratore in quiescenza e che in questo modo la pensione più alta della media non risulta considerata dal legislatore come meritato riconoscimento per il maggior impegno e capacità dimostrati durante la vita economicamente attiva ma alla guisa di un mero privilegio sacrificabile anche in una asserita ottica di equità inter generazionale …… per questo è necessario valorizzare i principi della proporzionalità della retribuzione alla qualità e alla quantità del suo lavoro e la funzione propriamente previdenziale dei trattamenti pensionistici, rendendo necessario mantenere la proporzionalità anche nei confronti dei lavoratori in quiescenza non solo per assicurare un trattamento economico commisurato all’attività lavorativa svolta, ma per tutelare la stessa dignità del lavoratore che non può essere sminuita nel periodo successivo al collocamento in pensione…”
Tutti concetti condivisibili e corretti che sono stati alla base di tutti gli altri ricorsi; purtroppo però rigettati, altrove.
“Vox clamantis in deserto?” potremmo ipotizzare quella della Corte dei Conti della Toscana, si tratta certamente e comunque, di una voce, cui la Corte Costituzionale dovrà rispondere, prima o poi.
Se poi, si troverà davanti, come è già successo nel 2015 con il così detto Decreto Poletti, altri nuovi tagli della legge di Bilancio 2025, visto che l’apparato ministeriale (che condiziona il governo di turno) ha già previsto tagli sulle nostre pensioni fino al 2032, per incassare qualche miliardo in più togliendolo dalle tasche dei pensionati, ciò sarà ancora una volta l’ennesimo sopruso che i cittadini saranno costretti a subire!!
Il blocco della rivalutazione delle pensioni, nell’anno 2015, interessava circa 6 milioni di pensionati , cioè quelli con assegni superiori a tre volte il minimo, ed era stato varato per mettere in sicurezza i conti pubblici durante la crisi economica del 2011. Nel 2015, tale blocco, era già stato oggetto di analisi da parte della Corte costituzionale che l’aveva giudicato incostituzionale (sent. 70/2015).
Da quella decisione era scaturito appunto il decreto Poletti che aveva portato ad un rimborso parziale, dato che la restituzione totale avrebbe comportato una spesa di 24 miliardi di euro.
Il cosiddetto Bonus Poletti che stabiliva una perequazione graduale, salvandola al 100% per assegni fino a 3 volte il minimo e prevedendo un rimborso del 40% per gli assegni tra 3 e 4 volte il minimo, del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6.
Si confermava invece il blocco per le pensioni di importo oltre sei volte il minimo.
A questo punto la Consulta giudica legittima la rivalutazione parziale delle pensioni 2012-2013 del decreto Poletti n. 65-2015 svuotando in maniera subdola tutto quello che era stato sentenziato dalla Corte Costituzionale (sentenza n.70/2015)
Quale sarà questa volta la posizione della Consulta? Troveremo ancora una volta nella capitale un giudice?!
Sia ben chiaro che a questo punto i pensionati, non resteranno passivi e continueranno a dire la loro, su Internet, su i social ma soprattutto nelle aule della giustizia.
Certamente il voto elettorale sarà la reale risposta che i pensionati daranno nel momento in cui verranno chiamati a sostenere questa o quella coalizione parlamentare.
Emilio Cimmino