CASAVATORE, MAGLIONE SI E’ DIMESSO DA PIU’ DI UNA SETTIMANA : DOPO L’AVVISAGLIA DI SFIDUCIA.  SI VA AI SUPPLEMENTARI, MENTRE LA CITTÀ ANNASPA!

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La storia della “fatal rampa” raccontata a Casavatore non convince più nessuno;  a quanto pare il casus belli della guerra intestina tra il sindaco Luigi Maglione e la sua ex maggioranza nulla ha a che vedere con svincoli e rotatorie. D’altra parte, da fonti autorevoli emerge che l’acquisizione della famigerata rampa al patrimonio del Comune di Casavatore sarebbe stata concertata già da tempo tra tutti i componenti della maggioranza, oggi in lite.

L’odierna conflittualità, pertanto, lungi dall’essere alimentata da diverse posizioni politiche, non è altro che un regolamento di conti interno al PD. Tant’è vero che qualche emissario del partito avrebbe chiesto la testa del presidente del Consiglio comunale, l’azzeramento della giunta, nonché delle altre cariche fiduciarie conferite. E, per dare forza alle “condizioni di riconciliazione”, una  frangia di PD ha anche preannunciato la volontà di depositare una mozione di sfiducia del sindaco, la cui bozza, veicolata ad arte, è stata resa nota a destra e a manca, affinché tutti, sindaco in primis, sapessero della spada di Damocle pendente sulla testa di quest’ultimo. Il quale, nondimeno, in questa poco edificante partita a scacchi, si è rivelato astuto giocatore: il 30 settembre scorso ha rassegnato le dimissioni, paralizzando, di tal guisa, la possibilità di depositare la solo preannunciata sfiducia, e beneficiando, nel contempo, dei 20 giorni concessi dalla legge per revocare siffatta determinazione. Nelle more, punta a sfiancare i transfughi della maggioranza facendo tesoro del vecchio detto napoletano per cui “O purpo s’adda cocere cu’ l’acqua soja”.

Insomma, Casavatore è totalmente immersa nella fangosità di questa disdicevole bagarre, che qualcuno osa definire “politica”, piuttosto che grigia, ripugnante ed egoistica disputa; dove pochi contendenti assurgono a un livello accettabile di decoro e dignità: l’ambiguità domina, dilaga e, in ultima analisi, esalta chi ne fa maggior sfoggio. E pensare che la trasparenza è stato il loro cavallo di battaglia: quante volte hanno propinato questo inflazionato termine ai cittadini, e quante volte li hanno traditi.

Nel paese regna un cupo scoramento; la gente è confusa e indispettita dall’indistinzione dei litiganti, il cui mimetismo e la cui mescolanza, con i reiterati mutui mascheramenti, consente a ciascuna parte di assumere l’aspetto dell’altro. E non vi è niente di più drammatico di quel mix di pseudo opposizioni e torbide commistioni che configurano la politica come una vicenda di caduta e rinascita, rivolta e obbedienza, errore e redenzione.

I questo triste scenario, molti protagonisti – dopo aver affossato Casavatore –  anziché recitare il mea culpa ancora tentano di convincere gli elettori che il male risiede dall’altra parte. Che poi, paradossalmente, è proprio quella parte che, fino a ieri, non era altro che una costola degli accusatori di oggi. Ma la cittadinanza ha ben inteso che nella querelle di questi giorni non c’è una parte ed una controparte, ma una massa informe e indistinta di dissimulatori, che, per le loro rare capacità camaleontiche, ricordano l’epilogo de “La fattoria degli animali” di Orwell: “Gli animali da fuori guardavano il maiale e poi l’uomo, poi l’uomo e ancora il maiale: ma era ormai impossibile dire chi era l’uno e chi l’altro”.

Per gli amanti della narrativa di casa nostra, i casavatoresi, invece, sembrano i perfetti protagonisti di un’opera di Verga: i “vinti” di quella “lotta per la poltrona” che ciclicamente viene loro proposta. Per loro non si intravede alcun cambiamento possibile: come nelle opere dello scrittore siciliano, da anni i casavatoresi sono i veri sconfitti, e, a quanto pare, tali resteranno. Manco il commissario prefettizio è ben accetto. Chiarissimo il monito di qualche politicante autoctono: che non osino tentare di migliorare la propria condizione, il destino si rivolterebbe contro di loro, facendoli precipitare ancora più in basso di quanto fosse la loro condizione attuale.

Noi non ci crediamo: cchiú nera d’ ’a mezanotte nun po’ venì!