Chi aveva visto le immagini del Presidente americano Joe Biden ha avuto immediatamente la percezione di trovarsi davanti un uomo stanco, malato, malfermo sulle gambe, un uomo sicuramente bisognevole di cure e di riposo e non certo l’uomo ritenuto per la sua carica, il più potente del mondo.
L’idea che lo stesso uomo fosse il candidato per altri anni alla guida del suo Paese opposto ad un ciclone mediatico come Donald Trump, appariva una corsa tra un ghepardo ed una tartaruga.
Tutti si sono chiesti per mesi come fosse possibile che un grande partito come quello democratico statunitense che è stato in grado di eleggere grandi Presidenti capaci di segnare la storia del mondo per oltre un secolo, non riuscisse a rendersi conto che la situazione era diventata insostenibile.
Alla fine nella politica, come nella vita di tutti i giorni, la logica ed il buon senso, hanno avuto il sopravvento.
Qualcuno ha iniziato ad evidenziare la necessità di proporre una nuova candidatura al posto di Biden e la ricerca non è stata semplice perché prima si è cercato lontano nei vari stati dell’unione ma poi ci si è resi conto che la soluzione non era poi così lontana ma molto vicina allo stesso Biden, ovvero la vicepresidente Kamala Harris, una giovane sessantenne di bella presenza, assai diversa da quella dell’attuale Presidente.
Con un discorso potente di soli 45 minuti, Kamala Harris ha accettato la candidatura alla presidenza in una convention democratica ripetendo quello che è ormai diventato lo slogan della campagna elettorale del prossimo 5 novembre: «Questa non è solo l’elezione più importante della nostra vita ma di una generazione».
Il suo programma politico si basa sostanzialmente sulla considerazione che si sia aperta una fase nella quale occorre il superamento del cinismo, del rancore e delle divisioni del passato, aprendo nuove strade sia in politica interna che estera.
Di Donald Trump la neocandidata pensa che non sia una persona seria ma che il pericolo di una sua rielezione, nonostante gli accadimenti non certo tranquillizzanti per le sorti degli Stati Uniti, sia quanto mai concreto.
La scelta dei democratici resta quindi quella di non allearsi mai con i dittatori come l’ex presidente e di restare al fianco dell’Ucraina, della Nato e dell’Europa.
Sulla situazione israelo-palestinese, tema che spacca i democratici, la candidata ritiene che occorra chiudere l’accordo per il cessate il fuoco e favorire le condizioni per il rilascio degli ostaggi della striscia di Gaza, continuando il programma in atto per mettere fine alla guerra in modo che Israele sia sicuro, le sofferenze a Gaza finiscano e i palestinesi possano realizzare l’aspirazione alla loro autodeterminazione.
Sull’altro tema cardine della campagna elettorale, quello dell’immigrazione, molto caro ai repubblicani, la Harris propone la riforma del sistema con un percorso accelerato per l’assegnazione della cittadinanza a chi lo merita e contemporaneamente risolvere il problema della difesa del confine con il Messico.
Oltre alle maggiori star di Hollywood che da sempre sono schierate con i democratici, molti importanti nomi della politica hanno manifestato la loro adesione alla candidata.
Oltre alle famiglie degli ex Presidenti Clinton ed Obama, si è schierata con la Harris anche la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer.
Chi invece a sorpresa si è schierato contro è stato il candidato indipendente alla presidenza Robert F. Kennedy Jr. che, contro il parere dei fratelli, ritirandosi dalla corsa per la Casa Bianca, ha esortato i suoi sostenitori a votare per Trump.
Secondo le previsioni dei bookmaker le probabilità che Kamala Harris o Donald Trump vincano le elezioni presidenziali del 2024 sono sostanzialmente in parità, anche se l’abbandono di Kennedy potrebbe capovolgere la Carolina del Nord e il Nevada a favore di Trump.
Non essendo ancora chiaro l’esito finale dello scontro una cosa appare sicura: con la candidatura Biden non c’era partita ed i democratici erano destinati ad una sonora sconfitta, con una più logica candidatura Harris, la partita si è riaperta e l’esito ora è decisamente incerto.
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Dopo le elezioni europee e la sconfitta delle liste facenti riferimento all’area del terzo polo, Matteo Renzi, un po’ simbolicamente, dopo la partita del cuore di alcune settimane fa, ha rilasciato una serie di dichiarazioni nelle quali ha di nuovo analizzato la sconfitta della lista degli Stati Uniti d’Europa, evidenziando che il giudizio negativo sul governo Meloni, accompagnato dalle aperture nuove del Pd e della Schlein su un campo largo aperto alle forze democratiche di centro, era una condizione importante per battere le destre, senza veti e senza parlare del passato e consentiva di aprire una nuova fase politica in Italia.
Così, in attesa del congresso che, ovviamente, confermerà le decisioni del suo leader indiscusso, Italia Viva sosterrà il centrosinistra alle elezioni regionali in Emilia-Romagna, Umbria e Liguria.
Nel merito, però, la questione non è semplice
Nella costruzione delle coalizioni a sostegno dei candidati nascono inevitabilmente dei problemi.
Il nodo più grande riguarda la Liguria.
Le dimissioni di Giovanni Toti hanno costretto la Regione a indire elezioni anticipate, previste per il 27 e 28 ottobre.
Sui candidati però la partita è ancora aperta e nel centrosinistra il candidato in pole position sembra essere il dem Andrea Orlando.
Non è chiaro però quali forze appoggeranno realmente un candidato pesante come Orlando, valutato anche che Iv a Genova governa con il centrodestra, al fianco del sindaco Marco Bucci.
Renzi intuisce il pericolo e già si smarca dichiarando che si deve prima parlare delle cose da fare e dei punti programmatici aperti e che è ovvio che se si sta con il centrosinistra non si possano fare accordi con il centrodestra, sempre che questo principio valga per tutti.
Che s’adda fa’ pe’campà!